MICHELE GIUTTARI E IL MOSTRO DI FIRENZE
di Salvatore Ferlita

Ci sono almeno tre Michele Giuttari: quello in carne e ossa, già capo della Squadra Mobile di Reggio Calabria, Cosenza e Firenze, e in seguito responsabile del Gruppo investigativo delitti seriali. C'è poi il Giuttari romanziere e saggista, l'autore di spietati noir e di libri come Compagni di sangue , scritto assieme a Carlo Lucarelli, e del recentissimo Il mostro (Rizzoli) . E infine c'è il Giuttari ideale, cartaceo, quello che il vero Michele Giuttari avrebbe voluto essere.
Il Giuttari che nei romanzi Scarabeo (2004) e La loggia degli innocenti (2005) indossa la maschera di Michele Ferrara, capo della Squadra Mobile di Firenze. “Michele Ferrara – si legge nella nota introduttiva a Scarabeo – non sono io: mi somiglia inevitabilmente perché è alla mia professione che mi ispiro, ma è quel Giuttari che forse avrei voluto essere senza quasi mai riuscirvi, quel noi stessi migliore di noi che tutti abbiamo davanti agli occhi e a cui fallibilmente tendiamo”.

Questo Giuttari a tre facce, nato in provincia di Messina nel 1950, ha fatto dell'autobiografia da un lato il nerbo della sua produzione saggistica, dall'altro il carburante della sua macchina narrativa: “I fatti non di rado ti forzano la mano – ha scritto nella premessa al Mostro. Anatomia di un indagine – e capita anche che la mano, consapevole, li segua compiacenti”. Una mano, va detto, che sembra appartenere a uno scrittore americano: prendiamo ad esempio i romanzi di Giuttari, nei quali le competenze dell'autore sono messe a disposizione di una trama il più delle volte perfetta. A questo proposito, il nome che viene da allineare accanto a quello del poliziotto e scrittore siciliano è quello di Patricia Cornwell: per via dell'osservatorio privilegiato da cui la scrittrice statunitense osserva la dinamica dei delitti più efferati, ossia l'ufficio di Medicina legale della Virginia.

Dal canto suo, Giuttari, per anni a capo delle indagini relative ai delitti attribuiti al mostro di Firenze, non ha fatto altro che riversare nelle sue pagine l'esperienza acquisita sul campo, facendo della verosimiglianza delle cose narrate un fatto di deontologia professionale. Per farsene un'idea, basta leggere Scarabeo e La loggia degli innocenti : due best seller, tradotti in Grecia, Francia, Germania e Spagna, degni delle cifre astronomiche dei più grandi scrittori americani di noir.

Nel primo, ambientato in una Firenze sonnacchiosa e atroce, un serial killer si accanisce su giovani uomini con tendenze omosessuali e si diverte a inviare lettere enigmatiche, con frasi somiglianti a una terribile sciarada, a Michele Ferrara, di origini siciliane ma da tempo trasferito in Toscana, capo della Squadra Mobile. L'indagine da lui condotta costringe il lettore a non perdere di vista il minimo dettaglio, in una fitta foresta di simboli, allusioni, tracce ambigue, che coinvolgono due ragazze legate da una torrida relazione, e poi un sacerdote e un giornalista americano che in comune hanno un'inquietante bellezza. Colpisce di questo romanzo il ritmo sostenuto, che non conosce alcuno stallo, l'assenza di inutili divagazioni (o sei Gadda, oppure è meglio risparmiarsi le digressioni). Riguardo alla lingua di Giuttari, ci si trova di fronte a una cifra cristallina, priva di velleità letterarie, che però a volte rischia di rasentare la sciatteria.

Nella Loggia degli innocenti è ancora Michele Ferrara al centro di una storia infernale, messa in moto dalla morte per overdose di una ragazzina e da due strani omicidi. Sullo sfondo, la lotta senza esclusioni di colpi tra la mafia albanese e Cosa Nostra per il controllo del territorio in Toscana. Questi episodi, a prima vista slegati, fanno parte di un progetto criminoso che solo Ferrara è in grado di scorgere, questa volta toccato molto da vicino dai fatti narrati, dal momento che il suo amico migliore, Massimo Verga, già presente nel primo romanzo, è sparito in circostanze misteriose e per di più è ricercato per un omicidio commesso in Versilia. Ferrara sarà sospeso dal suo incarico, e da solo dovrà far luce sul mistero, e far combaciare tutti i tasselli di questo puzzle narrativo che non dà respiro sino alla fine.

La sicilianità del protagonista di questi due romanzi è una sorta di controcanto ironico, che però non è per nulla invasivo, o forzato. Giuttari è come se avesse rinunciato al bagaglio di nostalgie, di malinconie isolane, per calarsi in una realtà, quella di Firenze, fitta di misteri e atrocità, facendo uso di uno scandaglio conoscitivo di straordinaria efficacia. Che poi è lo stesso con cui Giuttari ricostruisce, in Compagni di sangue ma soprattutto ne Il mostro. Anatomia di un indagine , la dinamica delle indagini legate agli atroci delitti che tra il 1974 e il 1985 sconvolsero i dintorni di Firenze.

Sette coppiette di innamorati infatti furono massacrate nei luoghi isolati dove si erano appartate, e due turisti tedeschi, uno dei quali scambiato per una donna perché portava i capelli lunghi, subirono la stessa sorte.
Vittime mutilate, macabri trofei, strani indizi, ambigue segnalazioni danno forma a un caso spaventoso e insieme unico al mondo: le indagini seguono piste diverse, per poi convergere su un contadino, Pietro Pacciani, nel frattempo arrestato per i reati sessuali commessi ai danni delle figlie. Le prove raccolte portano nel 1994 alla condanna di Pacciani all'ergastolo, ma il procuratore Piero Luigi Vigna rimane perplesso.
Non è pensabile che un uomo grossolano e ignorante come Pacciani sia l'autore dei delitti, il mostro in grado di farsi beffe della polizia e di mutilare le vittime con precisione chirurgica. Vigna decide così di riaprire le indagini affidandole a Michele Giuttari, da poco nominato capo della Mobile di Firenze. Il quale, da par suo, collazionando faldoni e verbali di interrogatorio, verificando le testimonianze, recuperando reperti, esaminando elementi di prova ignorati, dà avvio a una nuova investigazione. E Giuttari ben presto di fa convinto che Pacciani non può aver agito da solo.

Nell'ultimo libro pubblicato, Il mostro , Giuttari ricostruisce il percorso investigativo che lo ha condotto all'individuazione dei “compagni di merenda” del contadino di Mercatale e all'intuizione che, al di sopra di loro, c'era qualcuno di insospettabile a muovere le fila. Si tratta di un libro che si manda giù come un romanzo, in cui l'inchiesta raccontata ha la valenza di un “paradigma investigativo”, come si legge ad apertura.
Paradigma investigativo e anche epistemologico, che tutti gli aspiranti scrittori di noir dovrebbero leggere: per non commettere errori, per non raccontare scemenze.

© Salvatore Ferlita

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