GLI SCANDALOSI ANNI CINQUANTA (I) - FRANCOISE SAGAN
di Mario Rubino


«Mi aveva afferrata per un braccio e mi tratteneva ridendo. Mi volsi e lo guardai; egli si fece pallido come dovevo esser pallida anch'io e lasciò il mio polso. Ma per riprendermi subito fra le braccia e trascinarmi. Pensavo confusamente: tanto doveva accadere, doveva accadere. Poi fu il girotondo dell'amore: la paura che dà la mano del desiderio, la tenerezza alla rabbia, e quella sofferenza brutale che seguì, trionfando, il piacere. Ebbi la buona sorte (trovando in Cirillo la dolcezza necessaria) di scoprirla fin da quel giorno. [...] Quando andai via, egli mi domandò se gli serbavo rancore, e questo mi fece ridere. Serbargli rancore di quella felicità!...» (pp. 119 sg.).

Così la diciassettenne Cecilia raccontava nel 1955 ai lettori italiani (ricorrendo purtroppo alla pessima traduzione di un tale Ruggero Sandanieli) la propria “deflorazione” – a quei tempi si usava ancora questa metafora lirico-botanica. Cecilia era la protagonista narrante del romanzo «Bonjour tristesse» (1954) di Françoise Sagan (1935-2004) e, volendo, la si potrebbe genealogizzare come la nonna parigina della catanese Melissa P., la protagonista dei 100 colpi di spazzola (2003), anche lei narrante in prima persona le proprie iniziazioni di diciassettenne e anche lei filtro-confessionale di un'autrice più o meno diciottenne.

Sono passati cinquant'anni, ma il rituale del successo scandalistico si ripete con monotona regolarità. A quanto pare ogni generazione ha bisogno di tornare a indignarsi e/o ad andare in fregola, apprendendo che da qualche parte c'è una bad girl pronta a divulgare ai quattro venti, nero su bianco, i dettagli della sua “prima volta”. Certo, mezzo secolo non passa senza lasciar traccia.

In «Bonjour tristesse» Cecilia dice soltanto un «puttana» (p. 47) e un «me ne fotto» (p. 85). Ben più esplicito e casermescamente disinibito sarà il vocabolario di Antonia (Rocco e Antonia, Porci con le ali , 1976); appena appena più castigato quello di Annetta (Lara Cardella, Volevo i pantaloni, 1989); per poi approdare alle zoomate anatomiche dell'ultimissima Melissa.

Va da sé che ciascuna di queste narrazioni ha un suo stile proprio, proprie motivazioni ed una propria “ideologia”. E tuttavia le accomuna strettamente, quasi esponenti di un nuovo genere letterario, il fatto di essere scritte in prima persona da un'autrice che, all'uscita dall'adolescenza, confessa, anche o unicamente, i propri primi “turbamenti” sessuali. E' questo carattere di verosimile (data l'età dell'autrice) confessione intima che le rende radicalmente diverse da altre opere sullo stesso tema, ma scritte in terza persona da attempati signori, sùbito in odore di viziosetta porcaccionaggine, come, ad esempio, il Felix Salten di Josephine Mutzenbacher (1906), il Mario Mariani di Le adolescenti (1919), il Vladimir Nabokov di Lolita (1955) o l'Ercole Patti di Graziella (1970).

«Bonjour tristesse» inaugurò dunque un genere, e fu sùbito un tale tamtam scandalistico da portare alla quasi immediata traduzione in quindici lingue e alla vendita di due milioni di copie, oltre che a una versione filmica (1958) per la regia di Otto Preminger, interpreti Jean Seberg, David Niven e Deborah Kerr.

Si è detto di Cecilia nonna parigina di Melissa, ma nel racconto della Sagan avrebbe potuto esserci anche qualche altro motivo di preoccupazione per i benpensanti.

Nelle prime pagine del libro si apprende che Cecilia è orfana della madre, ha trascorso un lungo periodo della sua vita in collegio; da due anni vive a Parigi col padre, Raimondo, pubblicitario quarantenne. Padre e figlia vanno molto d'accordo, accomunati da una Weltanschauung alquanto superficiale ed edonista, che nel padre è radicamento comportamentale di una personalità ormai perfetta, mentre nella figlia corrisponde ad un adattamento all'ambiente paterno e ad una sorta di deriva/evasione da un approfondimento delle problematiche adolescenziali.

La storia si apre sulla villeggiatura estiva in Costa Azzurra di Cecilia, del padre e di un'amichetta di lui, Elsa Mackenburg, ventottenne demi-mondaine . Tutto fila alla perfezione fra ozi, aperitivi, cene e conversazioni insulse con personaggi insulsi, quando (cap. II) arriva Anna Larsen [non è ben chiaro il senso di tanti nomi parateutonici], disegnatrice di moda, quarantenne ex amica della madre di Cecilia. Anna, seria, coscienziosa, ultra ladylike , gran mondo, rappresenterebbe il contraltare assoluto del modo di vivere in cui si sono adagiati Raimondo e la figlia. Un altro personaggio è Cirillo, venticinquenne studente di legge, proprietario di una barca a vela, anch'egli in vacanza con la madre, corteggiatore di Cecilia.

Anna, invitata in villa da Raimondo (con sorpresa di Cecilia), riesce in breve (e sembrerebbe un suo piano prestabilito) non solo a scalzare la rivale Elsa, ma anche a indurre l'incallito e compiaciuto pubblicitario dongiovanni ad un progetto di matrimonio non appena rientrati a Parigi.

Qui la storia ha una svolta. Anna, con la sua tendenza al perfezionismo e all'organizzazione, si sente responsabilizzata a rimettere ordine nell'esistenza sregolata di Raimondo e Cecilia. La ragazza è stata bocciata e deve studiare (soprattutto, a quanto pare, filosofia – con frecciata contro l'inutile oscurità di Bergson, p. 74). Quindi pomeriggi in casa e meno Cirillo, con successivo divieto assoluto di frequentarlo, dopo che Anna li ha colti in flagrante (p. 69) ed ha frainteso una loro posizione molto intima. A quel punto Cecilia non tollera tanto rigore, angosciata da un proprio futuro ruolo succube della matrigna, con un prevedibile severo inquadramento delle sue giornate irresponsabili e dissipate. Decide quindi di agire per sventare l'aborrita regulation ed escogita un piano: Elsa, che s'era trovata un nuovo partner, deve tornare; deve quindi far finta di intrecciare una story con Cirillo, esibendola di continuo per provocare Raimondo, il quale non sopporterà di vedersi soppiantato da un rivale più giovane e cercherà di rifarsi, riaffermando così, anche se per una sola volta, i propri diritti sulla ragazza. Grazie ai puntuali interventi di Cecilia, che si trasforma in una abilissima sobillatrice manovriera, il piano riesce in pieno. Anna (ma, sembra, accidentalmente) sorprende Raimondo ed Elsa in pineta, ha un crollo psichico, fugge in macchina e muore in un incidente-suicidio.

Padre e figlia possono riprendere la propria vita, anche se Cecilia prova qualche confuso rimorso che le fa dire, come ultima battuta: «buon giorno, tristezza».

I benpensanti, dunque, non ebbero soltanto di che scandalizzarsi per la disinvoltura con cui Cecilia si sbarazza della sua verginità (“il più bell'ornamento di una giovane” la si era chiamata fino a poco tempo prima), e per giunta con un Cirillo, che, a mo' di résumé o di benservito, le ispira affermazioni come: «Non l'avevo mai amato. Mi era piaciuto e mi era apparso attraente; avevo amato il piacere che mi dava, ma non avevo bisogno di lui» (p. 180). C'era anche dell'altro, che, più che scandalizzare, allarmava e avrebbe dovuto impensierire un po' più a fondo una borghesia occidentale, tutta intenta a far sparire le macerie dell'ultima guerra e a ricostruire, riprendendo su ben più vasta scala i propri affari, in un'euforia da boom economico senza fine. Le parole d'ordine del “rimboccarsi le maniche” e del “darci sotto”, le varie gratificazioni del successo sembravano non fare alcuna presa nell'animo delle nuove generazioni, che, tanto, il benessere se lo trovavano prêt-à-porter nelle case dei loro genitori. «Bonjour tristesse» era infatti anche una denunzia o autodenunzia del vuoto di valori (spinto fino alla criminalità) percepito dalla gioventù nel corso degli anni Cinquanta. E la Cecilia di Françoise Sagan non era che un'ulteriore foto segnaletica che si andava a inserire in un affollato schedario, dove c'erano già, fra le altre, quella di Holden Caulfield (J. D. Salinger, Il giovane Holden , 1951), di Claudio Valmauro (M. Antonioni, I vinti , 1952), di Jim Stark (N. Ray, Gioventù bruciata , 1955), e dove si sarebbero presto aggiunte anche quelle di Guendalina Redaelli (A. Lattuada, Guendalina , 1957), di Bob Letellier (M. Carnè, Peccatori in blue-jeans , 1958) e di Johnny Hunter (D. Daves, Scandalo al sole , 1959). Non si può dire che i campanelli d'allarme non stessero squillando.

© Mario Rubino

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